Nel morbido spettro dei grigi 

Mi sveglio alle quattro e il mio corpo sotto il piumino è bollente. Scalcio un po’, tiro fuori le braccia cercando di disperdere calore ma niente, sembro una ciambella appena uscita dal forno. Il gatto si sposta infastidito mentre io continuo a cambiare posizione cercando quella magica che mi farà riaddormentare, ma il sonno è finito e lentamente, nel buio nero, passano le ore fino a che non decido di andare a lavorare in anticipo per attenuare le esasperazione. 

È strano arrivare al Museo prima di tutti, io di solito sono l’ultima. L’edificio è deserto e i passi alzano l’eco. L’alce impagliato incombe mostruoso nella luce fievole che filtra da fuori, ci sono ancora i lampioni accesi mentre qui dentro tutto è caldo confortevole e silenzioso. Io mi domando: cosa ci faccio qui? Non solo perché è così presto, ma in generale, perché non posso lasciarmi andare, e riaddormentarmi, e poi svegliarmi tardissimo? Perché il mio tempo non è mio? 

Passo due ore in perfetta solitudine a sistemare le 17 copie di Clementine di Tillie Walden che avevo ordinato per fare un gruppo di lettura in una scuola superiore della periferia, sulla base del vago presupposto che un fumetto possa essere accolto meglio di un romanzo in prosa. E’ un esperimento. Forse sto confermando tutti i luoghi comuni sul fumetto, ma l’ho scelto perché mi è piaciuto davvero e l’idea di ritrovarsi a crescere in un mondo orribilmente distrutto mi sembra molto contemporanea. Ci penso, fantasticando, mentre accarezzo la carta liscia, i disegni in bianco e nero che in questo momento attenuano il bruciore dei miei occhi stanchi. Vorrei restare nelle gradazioni del grigio ma devo prepararmi perché fra poco si esce. 

Alle 9 carichiamo il Bibliobus e partiamo. Purtroppo i ripiani sono stati pensati per un formato standard di 20 centimetri circa, perfetto per i libri che noi non abbiamo, i romanzi per adulti. Noi abbiamo quei cavolo di albi illustrati che sono sempre troppo lunghi o troppo larghi e che scivolano sotto i fermi appena freni a un semaforo. Quindi dobbiamo tenerli in tre scatoloni e riallestire gli scaffali ogni volta. 

Nonostante questi accorgimenti, quando rallentiamo si sentono dei tonfi: è la valigia piena dei miei libri preferiti che rotola. E’ pesantissima. Piena di roba che funziona.  

Il cielo è coperto e la temperatura è finalmente scesa vicino allo zero. Cade anche una pioggia minuta: sullo sfondo di questi colori tenui il Bibliobus è un arcobaleno squillante, un unicorno allegro. Bibliobus, Sistema Bibliotecario Urbano si legge sulle fiancate. Mi chiedo a volte cosa la gente pensi di noi. Un po’ ci odierà, perché siamo lenti e ingombranti, ma forse qualcuno proverà invidia, e desidererà di fare il nostro lavoro. 

La radio trasmette musica di merda. Cambio più volte canale ma è sempre peggio, finché non arrivo al limite dello spettro e sento un pezzo che conosco benissimo perché l’ho ascoltato un milione di volte tantissimi anni fa. Mi metto a cantarlo interrompendomi per dare indicazioni al mio collega, gira a destra, a sinistra al semaforo, e poi mentre io continuo a cantare All the boys think she’s a spy ci perdiamo nella zona industriale. 

Sempre così. Le scuole hanno tutte un indirizzo principale che ha un numero civico e un’entrata posteriore che invece non ce l’ha. Le direzioni ci vengono accennate vagamente, con ripetute correzioni quando cerco di andare a fondo alla cosa e scrivere almeno uno straccio di biglietto che ci accompagni a destinazione. Anche stavolta facciamo tre volte la stessa rotonda, intorno ci sono solo fabbriche d’armi, il verdino della scuola non è pastello come mi è stato descritto, piuttosto un neutro, composto color lichene, a far da cornice a quattro giochi colorati nel giardino fradicio di pioggia. Ecco, c’è una maestra inquadrata da un cancello aperto. Alla fine si arriva sempre. 

Sono due sezioni, due o tre piccoli e poi mezzani e grandi. Mi presento, tiro fuori i miei animaletti burattini e me li infilo sulle mani, da lì in poi sfogliare i libri è complicato, ogni tanto dico che cane e gatto sono in ansia per la trama e li metto a risposare sulle mie ginocchia. I libri sono dieci, sono cartucce che sono abituata a sparare – la vicinanza delle fabbriche evoca istantaneamente questa metafora – e ne ho portati solo due nuovi, di Julia Donaldson, che hanno più testo degli altri, vedremo se fare un esperimento.  

Bambine, bambini! Per raccontare le storie io faccio un incantesimo. Ve lo faccio vedere – dico muovendo cane e gatto – bisogna…… 

Comincio. 

Nella prima sezione una bambina vestita di rosa non interagisce con gli altri, ma vuole starmi vicinissima, attaccata al libro, quasi, come il mio gatto che quando leggo a letto cerca di interporsi tra me e le pagine. Me la trovo quasi in braccio. E’ nello spettro autistico. Non parla. Accetta con gioia evidente il bacino del cane e del gatto alla fine della lettura. La sua gemella, nella seconda sezione, parlerà con me, ma si prenderà male per il bacino e soprattutto avrà una lunghissima crisi, con urla che sfiorano gli ultrasuoni, perché non vuole mettere la giacca. Mi spiegano che vorrebbe stare in maniche corte anche d’inverno. Il pianto si interromperà per la durata di Bigio randagio, che seguirà attentamente con gli occhi chiari sgranati, per riprendere quando gli altri bambini usciranno per salire sul Bibliobus, più frustrato e acuto di prima. Penso alla madre e al padre di quelle gemelline, piccole e perfettamente bionde. Bigio era troppo lungo. Dovevo leggere La strega Rossella come nella prima sezione. L’unica che è rimasta incollata è la bambina che non voleva la giacca. Ma io devo provarci, per capire cosa funziona e cosa meno. Abbaia, George funziona sempre. Cantare Era una casa funziona sempre. Il mio cuore è sempre leggero, leggero. 

In questo periodo, se penso a me, mi viene da riassumere. Ho fatto questo, e quest’altro. Difficilmente penso alle emozioni che provo, mi limito ai fatti. Così facendo credo di infliggermi una grande violenza. Ma il ritmo delle cose da fare mi travolge. Sono tutte interessanti, tutte reclamano di essere espletate. 
Io cerco di non cadere da questo treno in corsa, da questi vagoni che sfrecciano nel buio dell’universo.  

Ci sono tenebre e piccole corone di stelle. 

Informazioni su runpauline

Bibliotecaria, regina dei finti tamarri, conduttrice radiofonica, musicista, in psicoterapia da sempre, ho Venere al medium coeli e me ne dolgo. Prima di morire ho una lista di cose da fare che comincia con: Aurora boreale. con il nome diArabella Urania Strange scrive anche su una risista speciale: Quasi la rista che non legge nessuno http://www.obloaps.it/quasi/
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